racconti...

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  1. Absolute
     
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    no marica è che il titolo ci ricordava una persona di cui parlavamo il giorno prima biggrin.gif
     
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  2. - Consuelo -
     
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    [confermo ]

    e tu ancora continui ad affondare il coltello nella piaga poi te lo giri e ce lo rigiri?!? cry.gif cry.gif
    me povera tapina sofferente!!! cry.gif


    laugh.gif sto a skerza'!
     
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  3. Absolute
     
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  4. - Consuelo -
     
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    ma guarda questa!!!! dry.gif


    laugh.gif
     
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  5. marica81
     
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    mi spiace ma non riesco a stare dietro a tutte le discussione... niente cose vostre allora... ok!
     
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  6. - Consuelo -
     
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    mmmhh.. nn capiscu cosa hai detto...
     
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  7. marica81
     
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    niente lascia perdere... tutto ok!
     
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  8. marica81
     
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    ALI D'ANGELO...

    Qualche anno fa mi trovai il giorno prima dell'inizio della scuola, seduto al bar con degli amici. Mentre chiacchieravamo felicemente pensando all'estate passata, un uomo ci avvicinò chiedendoci di farci qualche domanda, dicendo di essere stato incaricato di fare una statistica fra i giovani. Per nulla imbarazzati rispondemmo di sì. Ad un paio di domande molto semplici ne segui una ... "Cosa desidereresti avere nel corso della tua vita?" I miei amici, poco seriamente risposero dicendo tutte quelle stupidate che si dicono a 16 ... Un motorino nuovo, una modella ... Io però non riuscii a rispondergli e dissi che non ne avevo idea.
    Finita quella specie di intervista la nostra vita passò tranquilla per circa due anni.
    Poi, durante un pomeriggio piovoso, in mente mi tornò quella domanda, "Cosa desidereresti avere nel corso della tua vita?"… Ci ripensai fortemente e alla fine senza sapere perché dissi un paio di ali d'angelo candide come la neve …
    Il campanello alla porta suonò, ed io solo in casa andai ad aprire … Avvolto da una luce bianca l'uomo dell'intervista mi comparve davanti e mi disse: "Ecco le tue ali provale per una settimana poi verrò io a prendermi qualcosa …", "quando le vorrai usare basterà che le desideri intensamente ed esse usciranno dalla tua schiena, e per quanto alto volerai non avrai bisogno di ossigeno per respirare le sole ali basteranno …" detto questo scomparve davanti ai miei occhi in un lampo bianco …
    Credendomi pazzo, corsi preoccupato nel bagno a sciacquarmi la faccia e a guardarmi allo specchio ...
    Poi ad un certo punto pensai alle ali, e in quel preciso istante qualcosa, dolorosamente inizio a premere contro la maglietta fino a strapparla … un paio di lunghe ali bianche erano uscite dalla mia schiena e da esse una lunga serie di piume cadeva copiosa, svanendo toccando il terreno
    Pensai di non volere le ali ed esse si richiusero ...
    Passò un giorno e un po' preoccupato di essere preso per pazzo non dissi a nessuno di questo. Poi una notte tardi … decisi di provarle, le feci aprire, e in mezzo alla strada deserta spiccai un salto verso i cielo ... Come fosse stato un movimento naturale le ali cominciarono a sbattere e a planare, a me bastava senza fatica pensare dove dirigermi, e quanto velocemente volevo farlo. Scoprii che in un attimo (Bastava pensarlo!!) potevo arrivare da Brescia a Roma … Lo pensai e così mi trovai a sorvolare la capitale. Mi diressi in una zona conosciuta vicino la stazione, sbirciai in ogni finestra del palazzo che avevo scelto, tutte aperte per il gran caldo di quell'estate. Quando stavo per perdere la speranza, la trovai finalmente, che dormiva profondamente nel suo letto … Era proprio bella … ed era cresciuta nonostante non la vedessi da un anno. Ad un tratto di colpo si alzò, ancora assonnata vide il mio viso dalla finestra … Non credendo ai suoi occhi corse verso la finestra, e vide le grandi e candide ali che sbattendo lentamente mi sostenevano … mentre stava per aprire bocca e dire qualcosa, le feci cenno di non parlare e sorridendo le diedi un bacio sulla guancia e volai via …Tornai a casa e mi misi a letto … Pensai alla mia piccola avventura.
    Il giorno dopo lei mi chiamò e mi chiese se per caso non ero stato a Roma in quei giorni. Le dissi di no, mentendo. Con un po' di vergogna mi raccontò tutto e io le risposi che forse aveva sognato tutto. Mi disse che probabilmente era stato così. Chiudemmo la telefonata con la promessa di sentirci presto.
    Quella notte stessa tornai da lei, ma la trovai sveglia ad aspettare alla finestra … invece di farmi sostenere dalle ali mi appoggiai dolcemente sul davanzale della finestra … Non rimasi per molto, giusto il tempo di spiegarle tutto ma in maniera molto vaga ….
    Tornai a casa, ero ormai a metà settimana, fra un po' lui sarebbe tornato e avrebbe voluto qualcosa di mio …
    Scacciai quel pensiero, ed ogni sera tornai a quella finestra, ma senza fermarmi mai per molto tempo. Lei una di quelle sere mi confessò di essersi innamorata di me, ne ero felicissimo, ma subito mi prese il sospetto che fosse solo per via delle mie ali di angelo… Le dissi che se avessi perso le ali non sarei potuto più tornare da lei ogni sera, ma lei disse che non le importava. Le concessi comunque il beneficio del dubbio e continuai fino a domenica … Poi proprio domenica sera, quell'uomo tornò … Mi chiese se volevo tenere le ali … io gli chiesi quale fosse il prezzo da pagare, per avere la cosa che "di più avevo desiderato nella mia vita".
    Mi portò con lui in volo, e atterrammo sul davanzale che avevo frequentato in queste notti … Mi disse: "Voglio lei … se accetterai la porterò con me e tu avrai ciò che desideri"… In quel momento stesso gli dissi di riportarmi a casa … e gli dissi avvolto in un turbinio di piume e lacrime di rabbia di riprendersi le ali …
    Mentre usciva dalla porta mi disse "Sapevo che avresti scelto bene… in fondo non hai già la cosa che più si possa desiderare nella vita?" Detto questo sparì … Ripensai a lei e capii ciò che voleva dire…..
     
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  9. marica81
     
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    LA SPERANZA DI NATALE...

    -Nonno, dai, raccontamela di nuovo.... - disse Marcello al nonno che intanto gli rimboccava la copertina... -Ma tesoro, te l'ho raccontata già mille volte.... Va bene, va bene, te la racconterò di nuovo....
    "Era la notte di Natale di tanto, tanto tempo fa nella nostra fredda e nebbiosa città... Ma dello spirito natalizio c'era ben poco caro nipote... Le strade erano deserte, dalle finestre nessuna luce emanava amore. Nelle case non c'erano alberi, nè addobbi, nè dolci... Per le strade vagabondi e ragazzi di bande diverse che litigavano tra di loro... Al centro della strada camminava un bambino, biondo, con gli occhi di un azzurro indefinibile... Tutti quelli che erano per strada si fermarono a guardarlo dapprima meravigliati, poi si avvicinarono lentamente a lui notando che era vestito soltanto di una bianca e leggera camicia. All'improvviso uno dei ragazzi, vedendo che nella mano destra il bambino aveva una palla colorata e lucente e dall'altra una letterina, iniziò a ridere e con le mani indicava la follia del povero bambino. Anche il piccolo si fermò e guardò i ragazzi... All'improvviso socchiuse le labbra e dalla sua bocca una dolcissima e profonda melodia iniziò a diffondersi tra i vicoli dell'immensa città. I ragazzi smisero di colpo di ridere e rimasero come pietrificati. intanto la gente che era in casa, iniziò ad uscire in strada o ad affacciarsi ai balconi, mentre il piccolo, con lo sguardo fisso nel vuoto continuava a cantare e si mise di nuovo a camminare... poco più avanti c'era una grande piazza con un grande abete e il bimbo guardava la punta di quel grande albero...
    Si fermò un istante, guardò indietro e vide che la gente lo seguiva, poi guardò alla sua destra e vide steso a terra un povero bambino vagabondo come lui che dormiva piangendo, forse sognando la madre mai avuta...
    Il bambino biondo si inchinò verso di lui e gli regalò una sua lacrima... poi lo svegliò, lo fece alzare e gli diede la sua palla rossa e lucente... Lo prese per mano e insieme raggiunsero il grande albero. Il biondo bambino chiese al piccolo vagabondo: -Qual è il tuo desiderio più grande? - - Rivedere la mia mamma- -Rendiamo quest'albero più bello, vuoi?... E detto questo posò la letterina su un ramo dell'albero, mentre l'altro bambino appendeva quella sfera luccicante...
    Negli occhi della gente sgorgavano copiose le lacrime, ma nessuno sapeva spiegarsi il perché... tutti si avvicinarono all'albero, quelli che erano ancora sui balconi iniziarono a gettare monete d'oro e di cioccolato... quelli che erano per strada iniziarono ad abbellire quell'albero con tutto quello che avevano: chi con sciarpe, chi con bracciali, chi con nastri colorati... La piazza si riempì di gente che quella sera si sentì davvero felice... Intanto in un angolo della piazza il piccolo vagabondo giaceva disteso davanti all'uscio di una casa... Con una lacrima sul viso e un sorriso tra le labbra la sua anima era volata in cielo tra le braccia del dolce angelo biondo... il primo grande desiderio di Natale si era avverato" -Marcello, hai capito l'albero cosa rappresentava? -Si nonno... e voi, che leggete questo racconto, avete capito cosa rappresentava?
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  10. ElizaE
     
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    AREAL, LA STORIA DI UN'ELFA MOLTO PARTICOLARE

    Areal, una piccola elfa di aspetto delizioso, era l’unica figlia di Thumus Re di Primavera, suddivisione del regno di Peyton. Un regno diviso in quattro parti, quattro come le quattro stagioni: estate, autunno, inverno e primavera. Il regno era stato affidato ai quattro fratelli elfi che un giorno compirono la profezia: essi riuscirono a valicare la montagna, dove viveva la grande Tigre Bianca, che da tempo aveva congelato tutto il regno impedendo così la suddivisione nelle quattro stagioni. I quattro fratelli non uccisero la Tigre, perché considerata un essere di natura divina. La profezia descriveva come quattro fratelli sarebbero riusciti a convincere con l’uso della retorica l’imponente Tigre. Essa si sarebbe convertita ai suoi passi e avrebbe deciso, dopo questo episodio di proteggere il regno con la sua imponenza da ogni attacco di qualsiasi natura fino alla morte, se fosse stato necessario. E la profezia si compì. Ciascuno dei fratelli divenne Re rispettivo di ciascun regno.
    Il palazzo di corte era collocato nei pressi di una cascata. Le sue acque proteggevano l’imponente costruzione e i suoi abitanti da qualunque pericolo. L’aria accompagnava qua e là profumati fiori che si facevano trasportare dolcemente. Per accedere al palazzo, vi erano delle immense scalinate bianche perlacee che attraversano le cascate. Solo gli elfi puri di cuore, in un perfetto tutt’uno con la natura, avevano il potere di penetrare le acque senza alcun problema.
    Areal era solita passare il suo tempo giocherellando fra gli alberi e sognando un giorno di poter incontrare la sua tanto amata Tigre Bianca, la stessa che aveva colorato il regno di Peyton con la sua fantasiosa leggenda. La gente di Peyton non era sicura che la leggenda fosse accaduta un giorno, e di conseguenza non era certa dell’esistenza della Tigre Bianca. Ma Areal sì. Areal era certa che un giorno avrebbe avuto la tanto attesa possibilità di incontrarla. Se fosse davvero arrivato quel giorno, di sicuro si sarebbe tenuta per sé quel momento di sublime emozione. Davvero pochi fidati sarebbero venuti a conoscenza di quell’incontro. Areal era così. Discreta e riservata. Non avrebbe mai raccontato in giro delle sue emozioni più profonde, delle sue avventure più entusiasmanti, altrimenti le avrebbe impoverite rendendole al sapere di tutti.
    Così un giorno decise di partire alla ricerca della montagna e della sua abitante divina, che aveva riempito i suoi sogni d’infanzia. Areal scomparì dalla sua terra, senza alcun preavviso. Non vi fece più ritorno, e ancora oggi i suoi parenti, i suoi affetti non sanno qual è la sua locazione. Non sanno neppure se è ancora viva. Avrebbero voluto sapere come la loro dolce bimba dagli scuri occhi felini, accompagnati da scintille del color delle foglie d’autunno, sarebbe diventata una volta lasciata la sua particolare infanzia.
    Areal, il cui nome significa in elfico, “Il nostro vento”, oggi è diventata una giovane elfa, pura di spirito, nata a Peyton nel regno di Primavera e cresciuta nella leggendaria montagna di Ocus. La gentile bambina è cresciuta grazie ai preziosi servigi della misteriosa Tigre Bianca, Sikanda.
    Areal dopo mesi e mesi di faticoso cammino con il suo fedele cavallo nero, Fùcur, riuscì a trovare la sua tanto amata leggenda. Il suo spirito fu guidato dal sussurro degli alberi.
    Per Sakanda non fu troppo difficile innamorarsi della bambina tanto coraggiosa, ma un giorno raggiunta la consapevolezza di averle tramandato tutto il suo sapere, capì che non poteva più fare a meno di quella bambina ormai cresciuta e diventata una giovane elfa, pronta per conoscere il mondo. Così decise di cacciarla dalla sua dimora. Sarebbe stata una forma di egoismo se l’avesse tenuta ancora con lei. Areal doveva conoscere il mondo esterno, e non poteva certo vivere per deliziare la sua compagnia. La giovane elfa scomparve così piangendo nel bosco. Areal non riusciva a spiegarsi perché la sua amata Sakanda l’aveva cacciata. Il suo dolore era così forte, che con il passare del tempo quel dolore così acuto si trasformò in forza, forza di spirito. Areal era così profondamente addolorata dagli esiti di quello rapporto, che le era parso così vero, che da quel momento le risultò complicato riuscire a fidarsi di qualsiasi altra figura che si sarebbe avvicinata nella sua vita.
    Così da quel giorno incominciò la sua terza nuova vita. Di certo non poteva permettersi di tornare nel suo regno natale, nella dimora dove aveva passato la sua infanzia. La sua famiglia e il suo popolo non l’avrebbe più accettata, così vagò per regni e regni, compiendo avventure che nemmeno lei si rendeva capace di compierle, finchè giunse a Extremelot, il granducato di Lot, e lì vi rimase.


    Edited by ElizaE - 5/1/2006, 14:22
     
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  11. marica81
     
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    ALLA RICERCA DEL SACRO GRAAL...

    Era una giornata luminosa, Monsieur Gilbert stanco, dopo un lungo viaggio non ri­usciva a riposare nella camera d'albergo di Perpignan, un solo pensiero nella testa: la fortezza di Montségur.
    Dopo tanto tempo, finalmente ritorna in quella valle ai piedi dei Pirenei, luogo d'an­tichi splendori dove un piccolo gruppo di Catari, custodi di un segreto inestimabile mai ritrovato, il Sacro Graal, furono sterminati nel 1244 per mano dei Francesi.Innumerevoli le storie dietro questo nome pieno di fascino e mistero, ma Monsieur Gilbert ha deciso: dopo tanti anni di studi è arrivato il momento, il luogo della sua ri­cerca sarà Montségur, il castello, i sotterranei, le grotte.
    Monsieur Gilbert ricorda… La leggenda del Sacro Graal ha inizio nell'anno 63 d.C. quando Giu­seppe d’Arimatea, discepolo di Gesù, lasciò la Terra Santa per una missione segreta; dopo un lungo e pericoloso viaggio raggiunse attraverso uno stretto estuario ad est dell'Inghilterra la sua destinazione, Glastonbury Tor, l'isola di Vetro, con sé aveva portato un prezioso tesoro: una coppa contenente il sangue di Gesù Cristo, il Santo Graal.
    Per alcuni secoli la coppa restò in Inghilterra, coloro che la custodirono erano protetti dalla magica coppa, placava la loro sete, saziava i loro appetiti, guariva le loro ferite mortali.
    Durante il regno del leggendario re Artù, il Sacro Graal veniva custodito in una grande fortezza da un valoroso cavaliere, egli venne meno al suo Sacro dovere per amore di una donna, e un giorno, durante un duello venne ferito gravemente.
    Tutto intorno alla fortezza che ospitava il Sacro Graal, la terra si fece arida e deserta, il cavaliere ferito a morte, e tuttavia incapace di morire, vedeva spegnersi poco a poco il suo potere, solo pescando era in grado di dimenticare la sua condizione, da quel momento lo chiamarono Re pescatore, così quella che doveva essere la benedizione del Santo Graal, divenne una maledizione; la leggenda narrava di un cavaliere innocente, Parsifal che un giorno avrebbe posto al Re pescatore una precisa domanda, e la terra sarebbe rifiorita.
    Un raggio di sole attraversando le nuvole colpisce il viso di Monsieur Gilbert che, distolto dai suoi pensieri inizia ad osservare il paesaggio circostante; è l'alba del 21 giugno, solstizio d'estate, il giorno più lungo dell'anno, la notte più corta…
    La meta è vicina, Monsieur Gilbert nel riconoscere i luoghi dove i Catari s’insediarono e vissero sino alla loro scomparsa, avverte un brivido di freddo che attraversa tutto il suo corpo, una grande emozione l’assale nel rivivere in pochi attimi l'odissea di questo popolo.
    La storia ci racconta dei Catari, membri di una setta che aveva ereditato le proprie dottrine dal culto di Zoroastro e dai Manichei, nati in Medio Oriente, si trasferirono in Europa attraverso la Turchia e i Balcani, insediandosi in Francia nella regione della Languedoc nel 1100.
    Essi avrebbero potuto portare con sé il Sacro Graal durante le loro peregrinazioni, e potrebbe trovarsi nascosto nei sotterranei del castello di Montségur, per alcuni secoli molti si spinsero alla fortezza, con l'intento di scoprire il luogo dove era custodito il Sacro Calice, senza nessun risultato.
    Tra il 1002 e il 1271 i seguaci della religione Catara sono accusati d’eresia, processati e sterminati nella Francia meridionale, a milioni muoiono in Languedoc; la loro lingua (il provenzale) e la loro civiltà sono cancellate.
    In quel periodo compaiono in rapida successione i principali testi del Sacro Graal, i più importanti manoscritti vengono dal Galles, l'Inghilterra, la Francia, la Spagna e la Germania, gli scrittori parlano della possibilità che il Sacro Calice si trovi in Europa, senza per altro rivelare informazioni precise sul luogo esatto dove si trovi.
    Durante la Seconda Guerra Mondiale si torna a parlare del Santo Graal, Otto Rhan, un ufficiale delle SS, e il filosofo Alfred Rosemberg, amico di Hitler, intrapresero scavi archeologici a Montségur e in altre fortezze catare, alla ricerca del Sacro Calice.
    Dopo aver scritto un libro sul Santo Graal, Otto Rhan scomparve misteriosamente, secondo alcuni fu rinchiuso in un campo di concentramento perché "sapeva troppo".
    La fortezza di Montségur, eccola, imponente che domina la valle, poggiata sulla roccia, illuminata dal sole, le pareti bianche, erose dal tempo, la sua forma triangolare dove al vertice una volta si ergeva la torre ormai crollata…
    Monsieur Gilbet estasiato da questo spettacolo, nuovamente sente un'emozione che lo assale, il cuore accelera i battiti, la temperatura del suo corpo aumenta, anche l'adrenalina sale, è arrivato il momento tanto atteso, di fronte a lui la fortezza, la storia, la leggenda, il mistero.
    Un uomo decide di dedicare tutta la sua vita ad una ricerca così difficile e d'improbabile riuscita, seguendo un percorso che parte dal Medio Oriente per raggiungere l'Europa, lungo un arco di diciannove secoli che coprono la nostra storia: antica, medievale, moderna e contemporanea.
    Questa esigenza, alimentata dal bisogno di sapere, conoscere, capire; spinge l'uomo ad accettare sfide sempre più difficili, passando attraverso successi e fallimenti, egli realizzano i grandi obiettivi.
    L'esperienza acquisita nel tempo è punta di riferimento importante d'ogni uomo, è il suo "tesoro", un bagaglio di conoscenza che, trasmesso alle generazioni
    future permetterà loro di orientarsi verso nuove mete sempre più distanti.

    Dare una risposta alle domande della vita coinvolge tutti gli uomini, ognuno ha il suo Santo Graal, diverso per forma, natura e significato, quello che conta non è trovarlo, ma la sua continua ricerca, è il viaggio attraverso la vita stessa.
     
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  12. *marica*
     
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    SAPETE, CERTE VOLTE QUANDO... image


    Sapete, certe volte quando ci si guarda allo specchio, non si vede la propria immagine bensì un’altra persona, che… però non va pettinata, né imbellita… va solo osservata…Bisogna fissarla attentamente e, cercare di scavare oltre quegli occhi spenti e monotoni…perché ormai li si vede sempre e sono sempre gli stessi. Si vede aldilà e scorgi le sue paure, i suoi gemiti ed i suoi urli…Lo vedi scivolare via ed allontanarsi fino a diventar buio. Al suo posto si scorge invece, la sua vita tetra, ghiaccia ed umida. Si intravedono le persone che compongono questa vita…Tutti là grigi e lunghi che ti guardano…E, per un attimo ti viene da chiudere gli occhi per il terrore, che da tempo scorre per tutto il tuo corpo; tanti sono i silenzi che lo specchio ha svestito. Li riapri, vuoi vedere, vuoi sapere…ed ecco che riappaiono gli uomini e le donne che componevano la vita dell’uomo prima riflesso…
    Scarni e freddi continuano ad osservarti, ti fissano, come guardassero nel vuoto. Respirano e ammorbano l’aria circostante, mentre incalzano ritmi cinici cadenzati da accenti sgraziati e note stonate. Sillabano parole mute mimando lenti lo sguardo di una persona che vede a fine stagione gli storni volar via. Gelidi e corrosi dal tempo piangono lacrime amare, sciogliendosi poi come neve al sole. Scivolarono via come fa la cenere davanti al vento impietoso e lo specchio tornò alla sua vitrea perlacea trasparenza, tanto bella quanto bugiarda…Così l’uomo che si stava guardando allo specchio chiuse gli occhi e…girandosi di scatto verso la porta del bagno, s’incamminò per uscire… o forse per scappare…ma qualcosa l’arrestò…Sentì all’inizio come un bisbiglio, poi più forte, e più cresceva più capiva chiaramente cosa fosse…poi capì… erano risa che provenivano dal salotto…le risa crebbero e lui subito le associò a tutte le persone che aveva conosciuto e che false ed ipocrite avevano riso solo per farlo divertire o per avere da lui qualche favore, dono o riconoscimento…più le risa divenivano alte più si sentiva l’acre ed aspra falsità con le quali eran fatte…
    Poi il silenzio, era sera ormai e dal giardino filtravano gli ultimi chiarori del sole che rendevano la casa ombrosa e malinconica. L’uomo fece per aprire la porta ed andare in salotto…ma scivolò e batté la testa…rimase lì, con gli occhi spalancati a guardare la fioca lampada del bagno…Perché rialzarsi, quella era la volta buona per mettersi a pensare, fermare per un attimo il viavai della sua vita. Ogni volta che scorgeva qualcosa allo specchio gli faceva paura e subito usciva dal bagno. Quando invece sentiva qualcosa, qualche dubbio, qualche rimorso, andava dagli amici per farsi rallegrare, amici però spesso falsi, protagonisti di uno spettacolo di burattini, anche loro in una cella piena di fretta e di corsa. Rallentati da una nebbia densa di sfiducia e tramontana che ancora soffia sui loro cuori gelidi. Quello però non era il momento per nessuna di queste cose, era il tempo di fermare l’orologio che, da troppo tempo sigillava l’uomo in un mondo monotono e lacerante. Bisognava affrontare se stessi e vedere cosa c’era oltre il ponte, che lui mai, come anche il suo mondo avevano osato varcare. Era arrivato il momento di seminare quell’ombra che da troppo tempo lo inseguiva; egli era diventato come un pezzo di carta nel fuoco che, contorcendosi si accartoccia e ricaccia dentro di sé l’ultimo brivido di vita prima di darsi alle fiamme; era il momento di perdersi un po’ in quelle bolle di sapone, che volano e vagano alla continua ricerca di un soffio che le faccia scoppiare.
    Giunto era l’attimo, quel vivo sonno dove lui dovrà prendere con il retino quelle lontane ed imprendibili farfalle di quei colori vivi, accesi e sgargianti. Prendere l’attimo, osservarlo, respirarlo, farlo tuo e assimilarlo fino alla sua ultima scheggia di vita, fino a stingerlo interamente. Era il momento di chiudere gli occhi e far scendere un po’ di quel freddo buio su di noi, quell’unico freddo pungente che pizzica le corde dell’anima, ed è l’unico che ci può accarezzare col suo tepore e riscaldare nella sua culla, scrigno di sogni. L’unico freddo che poi però ci fa rabbrividire prima di riaprire gli occhi e di sentire il riflesso indefinito e la massima estensione di noi stessi, simile ai cerchi che nell’acqua si allargano pian piano sulla nostra immagine; prima di riaprire gli occhi e finire mimetizzati in un imbuto di rimbombi e martellanti strappi ed urli ibridi. Ma era ormai sorta l’alba di un nuovo sole.
    Così uscì dal bagno e andò in giardino…si sedette su uno scalino…caldi ed innocui erano gli ultimi raggi di sole, che però ancora freschi e accoglienti assorbivano ciò che restava della sua felicità. Si mise a pensare e, pensò, pensò a ciò che probabilmente ora, gli avrebbe detto lo specchio… pensò a tutte le persone che gli furono sempre vicine, a quelle che anche solo per un attimo gli vollero bene e che non rivedrà mai più, e alle persone che sincere, per quello che potevano gli stettero accanto; gente che però lui al tempo rifiutava: o perché non facevano parte del suo mondo o perché non avevano le determinate caratteristiche che lui sempre pretendeva o perché facevano parte di un’altra classe sociale ed economica che lui mai avrebbe tollerato. Idee che il suo mondo gli ha inciso in testa, mai guardava le persone con occhio interessato e studioso, sempre le giudicava ma vedendole sempre e solo con gli occhi solo con quelli. Così dipinse una nuova parola sulla tela del suo futuro ”RICORDO” la dipinse con forza ed indelebilmente.
    Ma col passare dei giorni troppe volte si fermava a pensare e a guardarsi indietro per sfogliare ancora il suo futuro. E cominciava a diventar buio anche lui; ad ansimare vuoto che forse desiderava, non andò più dallo specchio, troppa era la paura ch’esso gli svelasse altri terrori, troppa, soprattutto era la paura di riconoscersi nelle persone da lui un tempo viste attraverso esso. Ora lui stesso stava diventando colui che avrebbe mostrato quelle tenebre e quei tremori alla persona riflessa nello specchio.
    Ormai gli facevano paura quegli eterni silenzi che respirava durante le gelide serate invernali. I suoi pensieri si scontravano come grosse e pannose nuvole prima di un temporale, ormai temeva tutto…soprattutto temeva se stesso…Così per la troppa paura sulla tela del suo futuro non rimase più nulla: solo un puntino, fu la speranza di un nuovo mondo…quel puntino volò…volò sui sorrisi e sulle anime della gente, sui loro respiri e sospiri, sui loro rimorsi e angosce, sulle loro fantasie e melodie. E delicatamente si posò sulla punta di questo soffio, di questo battito di ciglia, oltre la fine di questo tunnel, oltre questa nebbia, oltre il senso di questo tramonto e di questo racconto. L’uomo sorrise poi, premette il grilletto. ”Bang”.
     
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  13. *marica*
     
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    NON SI SCORDA MAI... :wub: :wub: :wub:

    Io quattrodici anni..lui diciassette. Lui l'esperto, il responsabiil.e, il bellone, io la bambina immatura..insesperta, un fiore bellissimo che doveva ankora sbocciare.
    Quella bambina che credeva all'amore visto nei film, che in lui vedeva quel papà assente, che con lui sarebbe andata in capo al mondo. ogni giorno era un traguardo, sentirsi invidiata dalle amike, dalle ragazze della scuola, mi metteva dentro una grande gioia, ero orgogliosa di essere la sua ragazza.. ogni attimo trascorso insieme, di nascosto, ogni ora rubata alla scuola, ogni bacio..ogni nuova carezza..era per me il realizzarsi di un songo, del mio sogno d'amore..quell'amore che vedevo nei film,quell'amore che solo avevo ritrovato solo in lui.
    Ero troppo pikkola, e lui troppo maturo, troppo segnato da un'infanzia difficile. Io avevo sempre avuto tutto quello che volevo,l'amore dei miei geniori, lui dai suoi aveva soltanto avuto botte.
    Si rinkiudeva nel suo mondo,fatto di musika..lo guardavo mentre sfiorava quelle corde e in lui c'era una passione infinita...
    Quando stavamo insieme, quando mi stringeva tra le sue braccia e lo guardavo negli okki sentivo che per lui c'ero solo io, e che ero l'unika cosa che avesse,oltre ke la musika.
    Un anno..un anno intero passato veloce km il vento. un'estate passata a cerkare di dimentikarlo, x poi a settembre ritrovarlo più bello che mai. siamo tornati insieme. . è durata poko questa volta. tre mesi.. e tutto era difficile. era finita già una volta.. io ero sbocciata e ho capito che l'amore nn è quello dei film, quello dei libri rosa, quello che si sogna la notte o il giorno ad okki paerti.
    Ogni suo movimento mi metteva dentro angoscia e paura di perderlo ankora. così è stato. la settimana prima di natale, l'ho lasciato.
    Mi aveva tradito e aveva pure avuto il coraggio di kiedermi skusa..di kiedermi di rinkominciare... è in quel momento che sono appassita, che ho imparato a nn investirci più la vita nell'amore.
    Ho incominciato a far soffrire i ragazzi..del resto se lui aveva fatto soffrire me nn vedevo perkè nn potevo far lo stesso..ho sbagliato, ho spezzato tanti cuori. ora ho 17 anni e sto con il mio amiko di sempre, quello ke mi ha aspetatta per tutti questi anni..
    Sono felice.
    Gli voglio un gran bene.
    Ma il vero amore, non tornerà più...
     
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  14. *marica*
     
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    LA LUNA...

    C'era una ragazza che, ogni notte, guardava la luna. In quell'occhio del cielo dai riflessi d'argento le pareva di intravedere il profilo di un giovane sconosciuto. O forse era solo il riverbero misterioso di un sogno. La ragazza aspettava e sospirava.
    Nell'altra parte del mondo, c'era un giovane che, ogni notte, guardava la luna. Su quel pallido schermo gli pareva di vedere il profilo dolce e seducente di una ragazza. Il giovane era un provetto arciere.
    Così, una notte, incoccò la sua freccia più resistente e veloce sull'arco, lo tese con tutte le sue forze e mirò al volto placido della luna.
    La freccia, dura come l'acciaio e rapida come il lampo, colpì la luna e ne staccò un frammento. Cadendo, il frammento si spaccò in due parti.
    Una cadde in grembo alla ragazza, l'altra ai piedi del giovane arciere.
    Tutti e due si legarono al collo, come un gioiello, il frammento di luna.


    image

    Si incontrarono poi? Forse.
    Ma noi tutti, esseri umani, siamo come loro ed erriamo per il mondo portando ciascuno con sé la metà di un sogno.

    Molto probabilmente non sai chi possiede l'altra metà del tuo sogno. Così, per non sbagliarti sii gentile con tutti quelli che incontri.
     
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  15. *marica*
     
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    User deleted


    Me l'hanno mandata per posta e la voglio far leggere anche a tutti voi.



    Sono in ritardo... Come al solito.
    Ma chi se ne frega.

    Ora ho 4 anni di tempo per tirarmela di fronte al mondo.

    E comincio così. In ritardo.

    Perchè è vero, i tedeschi hanno ragione, siamo dei PARASSITI.

    E hanno ragione anche i cugini francesi, siamo MAFIOSI.

    Siamo Italiani, nel bene e nel male.

    Però, quanto meno:

    non abbiamo nomi da froci come TIERRI', FRANSUA', ANTUAN.

    non abbiamo impronunciabili nomi da nazista come LOTAR, GUNDAM,
    CRASFGRANDAR.

    non abbiamo baffi biondi da tamarro.

    non portiamo il pane sotto le ascelle mentre camminiamo perchè non è
    igienico.

    non mettiamo i sandali con le calze perchè fanno cagare.

    la nostra cucina non sara NUVELL, ma almeno le porzioni sono umane, e
    non da canarini.

    anche noi abbiamo buon vino e buona birra,

    ma non scassiamo le palle al mondo sostenendo che siano i migliori.

    non abbiamo i coprivolante delle macchine in peluche.

    saremo anche PARASSITI,

    ma ogni estate non occupiamo la toscana o la riviera romagnola
    pretendendo di trovare

    Wurstel e Crauti in spiaggia o i cartelli stradali bilingue

    le nostre donne (nella maggior parte dei casi) non hanno acconciature

    tardo-anniottanta o ossigenature paura da pornodive,

    e da noi la permanente è oramai fuorilegge, così come gli slip ascellari.

    i nostri giocatori sputano, è vero, sfottono, è vero, giocano duro, è
    vero.

    Però non tirano testate, e se lo fanno a nessuno

    viene in mente di premiarli come migliori giocatori di un torneo.

    Se uno dei nostri giocatori prende 5 giornate di squalifica per una
    gomitata,

    non gridiamo allo scandalo, anche se la televisione che lo ha ripreso
    non è ufficiale.

    Al limite uno tira una bestemmia, ed è finita lì.

    Non ce la tiriamo con tutto il mondo per una cazzo di torre di
    ferraglia rugginosa.

    Quando un italiano va in un altro paese, tempo sei mesi e impara la
    lingua.

    Quando un fottuto tedesco viene in Italia, e mangia in italia,

    e guida una Ferrari (macchina italiana) per sei anni, impara l'inglese
    !).

    Platini, LE RUA', era sì francese, ma giocava in italia.

    Zidane, L'IMPERATUR, è si francese, ma è esploso in Italia.

    Thierry ha giocato in Italia, Vieira pure.

    La domanda è:

    c'è qualche cazzo di francese che è capace di imparare a giocare a
    calcio senza venire in Italia?

    Quando noi perdiamo ai rigori si chiama SFIGA.

    Quando vinciamo si chiama VENDETTA.

    E ha un sapore buonissimo.

    La pizza è nostra.

    E' buonissima e ce la invidia tutto il mondo.

    L'OMELETTE è solo una cazzo di frittata.

    Vuoi mettere un wurstel con una soppressata calabra?!

    Potrei andare avanti all'infinito.

    Le differenze socio-culturali sono moltissime.

    Anzi, direi che come giochino potremmo inventarne sempre di nuove

    aggiungendole alla lista.

    Ma per adesso va bene così.

    E' solo l'inizio.

    Abbiamo altri 4 anni per fare quello in cui noi italiani siamo davvero
    e senza ombra di dubbion gli indiscussi Campioni del Mondo:

    PRENDERE PER IL CULO!!!!
     
    .
39 replies since 19/10/2005, 16:27   817 views
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