Ki vincerà la Champions League???

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    Il Napoli di Cavani è perfetto




    A quanto pare, le partite perfette esistono. Mazzarri l’aveva chiesta, il San Paolo l’aveva sognata e il Napoli l’ha confezionata in una notte memorabile. Il City è battuto 2-1 e sorpassato di un punto in classifica. La qualificazione agli ottavi si deciderà all’ultima giornata, quando il Napoli andrà a Villarreal e gli inglesi ospiteranno il Bayern Monaco già qualificato al primo posto. Un gran finale inimmaginabile a settembre, ma questo Napoli se lo merita tutto: perfetto tatticamente, presente con la testa, pieno di grinta e orgoglio e guidato da un Cavani strepitoso, capace di segnare due gol e di giocare una gara magnifica. Al Matador ha provato a opporsi Mario Balotelli, autore del gol inglese e presente fino alla fine con tre chance fallite nella ripresa. Ma ieri la scena era del Napoli e nessuno avrebbe potuto oscurargliela.

    ASSALTO – Il Napoli è partito a cento all’ora con una idea chiara: imporre il ritmo, non far ragionare il City, aggredirlo a centrocampo e ripartire feroce. La missione, dopo un brivido per un tiro di Balotelli fuori di pochissimo (7’), riesce bene: colpo di testa di Hamsik parato (9’), gran tiro fuori di Lavezzi (11’), siluro da 20 metri di Inler (17’) deviato in corner da Hart. Proprio da quel calcio d’angolo, battuto dal Pocho, nasce il gol di Cavani, un colpo di testa con timing perfetto al primo palo favorito dalla latitanza sul palo inglese di Kolarov. È la situazione ideale sognata da Mazzarri: vantaggio e possibilità di gestire la situazione innescando in velocità Lavezzi, Cavani e Hamsik.

    SUPERMARIO - I Citizens però non sbandano, si riorganizzano con un possesso palla preciso intorno a Silva – motore del gioco – e pareggiano con Balotelli al 33’. Un appoggio facile facile a porta vuota su corta respinta di De Sanctis, non colpevole perché il danno vero lo commette Aronica, rinviando sui piedi di Silva. Il portiere, anzi, fa già molto fermando il tiro a colpo sicuro dello spagnolo. È il momento peggiore per il Napoli. Mentre i Mazzarri’s si slegano e perdono lucidità, i manciniani crescono: solidi in mediana (a cinque, con movimenti e rotazioni che non davano riferimenti e creavano sempre superiorità) e con uno Dzeko perfetto nel lavoro di sponda, prendono in mano la situazione e sfiorano il raddoppio al 43’, quando Kolarov impegna De Sanctis dopo l’ennesima percussione da sinistra.

    SPETTACOLO – Ma una delle qualità del Napoli da Champions è non mollare mai. Lo conferma il modo in cui comincia la ripresa, col raddoppio di Cavani. Un’azione bellissima, a difesa del City schierata. Lavezzi tiene palla sulla sinistra, Dossena è perfetto nei tempi della sovrapposizione dietro l’inadeguato Zabaleta e mette al centro dove Cavani appoggia in rete al volo di piatto. Spettacolare. Come lo è al 24’ l’azione in velocità di Lavezzi (su Lancio al bacio di Hamsik) che poi però si fa parare il diagonale da Hart. Mentre Mazzarri è costretto a sostituire Inler (infortunato) con Dzemaili, Mancini toglie De Jong inserendo Nasri. È ancora il Napoli a sfiorare il gol con una splendida azione di Hamsik (lanciato ancora da un lancio da cineteca di Cavani) che colpisce il palo (31’). La partita si incendia. Al 33’ Balotelli viene anticipato di un soffio da De Sanctis, poco dopo Maggio solo davanti a Hart perde il tempo, poi Balotelli di testa manda fuori di un soffio. Il possesso palla del City spaventa il San Paolo, ma non si concretizza in altro che in palle buttate in area e mischie senza esito. Giusto così. Questa notte è tutta del Napoli.

     
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    Milan- Barcellona spettacolo a San Siro




    Spettacolo pirotecnico a San Siro, gol, battaglia, genialità, perfino qualche calcione (otto ammoniti), tra due stili di gioco, due scuole, due interpretazioni del calcio altrettanto affascinanti e legittime. Il Milan con le sue ripartenze e il «suo» Ibrahimovic, palla lunga e spallata all'avversario; il Barcellona con il suo tic-toc, tic-toc, il suo palleggio, le sue accelerazioni il suo chirurgo plastico Lionel Messi. Vince chi procede meno a sprazzi, vince chi è più squadra, vince chi ha più opzioni, vince chi gioca meglio. Vince il Barcellona 3-2.



    Milan rimonta due volte, con Ibrahimovic (grande assist di Seedorf) il vantaggio di Xavi (ma forse, prima c'è il tocco di Van Bommel) e con Boateng (numero di prestigio circense) il rigore di Messi che segna il suo primo gol a una squadra italiana. Un tiro ripetuto a causa di una finta eccessiva della «Pulce», sanzionata addirittura con il giallo. A questo proposito c'è un giallo nel giallo. L'autore del fallo su Xavi è Aquilani che scampa l'ammonizione: sarebbe stata la seconda. In questi casi il cartellino è praticamente inevitabile. Viene ammonito invece Nesta che protesta con l'arbitro di porta. Almeno questa è la ricostruzione. Strano, però, che l'arbitro abbia graziato Aquilani.

    Il Barcellona, alla fine, vince con uno dei classici gol made in Barça: inserimento di Xavi e pallone telecomandato di Messi per il centrocampista del famoso duo «Xavi & Iniesta», ora orfano del secondo per infortunio. Football allo stato puro, come pescare a piene mani caviale da una coppa d'argento. Il paradosso di questi fuochi d'artificio a San Siro è che il Barcellona aveva dominato di più all'andata, eppure era stato punito dalle uniche due azioni offensive del Milan. Qui soffre di più (comunque ha più occasioni del Milan, su questo non c'è il minimo dubbio), controlla meno il gioco ma ottiene i tre punti e la sicurezza del primo posto nel girone.

    C'è qualcosa che, in molti, non capiscono. Se giochi come il Barcellona, se sei una squadra come il Barcellona, se persegui un fine come il Barcellona e non ti basi solo sulla capacità dei singoli interpreti, pure bravissimi, alla fine raccogli, perché il gioco paga sempre, perché l'idea positiva è più forte della mera speculazione. I furbi, nel calcio, a differenza di quello che pensa qualcuno, specialmente in Italia, non vanno lontano.


     
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  3. *marica*
     
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    Andata Milan-Barcellona 0-0



    Meno bella, meno intrigante, meno spettacolare. Meno tutto. Zero a zero, contro il 3-2 dell’ultima sfida, qui a San Siro, nel girone di qualificazione. Allora furono scintille, triangolazioni, tic toc barcelonista e tentativi di risposte milaniste. Però il Milan perse. Allora era in discussione solo il primato nel girone, che si qualificassero entrambe non c’erano dubbi. Adesso si vive o si muore.

    E allora Massimiliano Allegri decide di stare «accuorto». Il possesso palla del Barcellona è pressoché il doppio del Milan: 62 per cento contro il 38, 66 e 34 nel primo tempo quando l’agonismo non è ancora zavorrato dalla stanchezza. La tattica è chiara. Impedire che il torello della squadra più forte del mondo ipnotizzi la difesa rossonera e i 70 mila tifosi di San Siro.

    L’inghippo riesce. Il Barcellona ha tre, quattro occasioni, due con Messi, una con Xavi (tutte respinte da Abbiati), una con Sanchez (bloccato da Antonini). Il Milan risponde con Robinho, svirgolata fantozziana, e con Ibrahimovic (assist di Seedorf, salvataggio di Victor Valdes, ma il tiro non è sconvolgente). Il Barcellona domina, il Milan, guidato da un Ambrosini eccezionale per lucidità e coordinazione, tiene. La squadra gioca unita per non far segnare il terribile avversario.

    Il problema è che la seconda parte del piano, lancio per Ibra a cercare di scatenare la prepotenza dello svedese, non riesce. Ne viene fuori una partita di intensità notevole ma scarsamente emozionante sotto rete. Però non c’erano alternative, per il Milan. Solo con questa prova d’insieme, in cui emergono come protagonisti assoluti giocatori come Bonera e Antonini, resistenti e patriottici come una specie di Piave calcistico, poteva bloccare la gioiosa macchina da guerra pallonara della squadra più forte del mondo.

    Il catenaccio, nelle sue varie forme (qui studiato e “alto”, lo definiremmo), non è scandaloso se è l’unica tattica che garantisce la sopravvivenza. È sbagliato come atteggiamento mentale, non come ragionata strategia. Messi, dopo otto partite (nove con l’Argentina) è rimasto a secco per la prima volta. Non è poco.


    Meno bella, meno intrigante, meno spettacolare. Meno tutto. Zero a zero, contro il 3-2 dell’ultima sfida, qui a San Siro, nel girone di qualificazione. Allora furono scintille, triangolazioni, tic toc barcelonista e tentativi di risposte milaniste. Però il Milan perse. Allora era in discussione solo il primato nel girone, che si qualificassero entrambe non c’erano dubbi. Adesso si vive o si muore.

    E allora Massimiliano Allegri decide di stare «accuorto». Il possesso palla del Barcellona è pressoché il doppio del Milan: 62 per cento contro il 38, 66 e 34 nel primo tempo quando l’agonismo non è ancora zavorrato dalla stanchezza. La tattica è chiara. Impedire che il torello della squadra più forte del mondo ipnotizzi la difesa rossonera e i 70 mila tifosi di San Siro.

    L’inghippo riesce. Il Barcellona ha tre, quattro occasioni, due con Messi, una con Xavi (tutte respinte da Abbiati), una con Sanchez (bloccato da Antonini). Il Milan risponde con Robinho, svirgolata fantozziana, e con Ibrahimovic (assist di Seedorf, salvataggio di Victor Valdes, ma il tiro non è sconvolgente). Il Barcellona domina, il Milan, guidato da un Ambrosini eccezionale per lucidità e coordinazione, tiene. La squadra gioca unita per non far segnare il terribile avversario.

    Il problema è che la seconda parte del piano, lancio per Ibra a cercare di scatenare la prepotenza dello svedese, non riesce. Ne viene fuori una partita di intensità notevole ma scarsamente emozionante sotto rete. Però non c’erano alternative, per il Milan. Solo con questa prova d’insieme, in cui emergono come protagonisti assoluti giocatori come Bonera e Antonini, resistenti e patriottici come una specie di Piave calcistico, poteva bloccare la gioiosa macchina da guerra pallonara della squadra più forte del mondo.

    Il catenaccio, nelle sue varie forme (qui studiato e “alto”, lo definiremmo), non è scandaloso se è l’unica tattica che garantisce la sopravvivenza. È sbagliato come atteggiamento mentale, non come ragionata strategia. Messi, dopo otto partite (nove con l’Argentina) è rimasto a secco per la prima volta. Non è poco.


    Il Milan, così, mantiene intatta la speranza. Al Camp Nou, nel girone di qualificazione, con un gol all’inizio e uno alla fine, portò a casa un 2-2 che, martedì prossimo, farebbe urlare al miracolo.
     
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    Champions League: Drogba decide la finale, il Chelsea e Di Matteo sul tetto d'Europa



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    Favola Blues. Incredibile vittoria del Chelsea di Roberto Di Matteo ai calci di rigore contro il Bayern di Monaco (5-4 dcr). Grande protagonista della serata Didier Drogba, che ha segnato il rigore decisivo, e in precedenza aveva siglato il gol del pareggio dopo il vantaggio bavarese di Muller. Il Bayern ha sprecato oltre il lecito, sbagliando una serie innumerevole di occasioni e un rigore con Robben durante i tempi supplementari, ma evidentemente il destino dei Bleus era quello di essere predestinati alla vittoria della Coppa. Premiata la linea Maginot del Chelsea. Nella lotteria dei rigori fatali gli errori di Olic e Schweinsteiger per i bavaresi.


    LA PARTITA - Dopo pochi minuti dal fischio d'inizio si ripete il cliché catenacciaro della semifinale. Il Bayern schiaccia gli inglesi fin da subito, tiene costantemente il possesso del pallone. Il Chelsea, chiuso nella morsa, alza le barricate, gioca votato al contenimento, secondo la vecchia scuola italiana, lasciando sfogare i bavaresi, raramente si distende in contropiede, confidando nei guizzi di Drogba. Troppo poco per impensierire un Bayern che fa gioco, crea, ma non arriva facilmente sotto porta.


    Il vero spettacolo è sugli spalti tra due tifoserie che accompagnano incessantemente le azioni delle rispettive squadre. Le giocate di Ribery e Robben accendono i tedeschi, più dotati in palleggio dei ruvidi inglesi.



    La partita diventa un duello ceco-olandese: il numero 10 del Bayern sfiora il gol al 21' con un tiro deviato di piede da Cech, con il pallone che termina sul palo esterno, poi ci riprova con un tiro da lontano. Il ritmo sale e le squadre si allungano, allora è Thomas Muller a poter sbloccare il risultato: il tiro però si perde sul fondo alla mezz'ora. A centrare lo specchio della porta su un ribaltamento di fronte è Kalou: Neuer blocca accartocciato sul primo palo. Lo score del primo tempo dice Bayern (13 tiri a 2, poche occasioni nitide), il Chelsea può essere più che soddisfatto.


    Nel secondo tempo sale l'agonismo, il Bayern riparte di slancio e cerca di giocare maggiornemnte in velocità per non essere prevedibile. Si fa vedere anche il Chelsea con Drogba che al 52' scocca un tiro che fuoriesce di poco. La squadra di Heynckes accelera, ma il muro difensivo fatto di ginocchia e stinchi, e contropiedi speculativi dei Blues, tiene botta rispetto al monologo del Bayern. Nulla possono le scorribande di Ribery, i tiri da fuori area respinti e dall'interno dei sedici metri che terminano fuori.


    LA SVOLTA - A sette minuti dalla fine, Muller raccoglie un traversone dalla sinistra, indirizza di testa verso la porta, il pallone accarezza la traversa e si insacca, beffando Cech, non perfetto nell'intervento. Heynckes si copre togliendo l'eroe della serata, Muller: è un presagio. Mentre a Monaco pregustavano già una edizione primaverile dell'Oktoberfest, avviene l'imponderabile. Su calcio d'angolo battuto da Mata, irrompe Didier Drogba di testa, prende il tempo al difensore e batte il distratto Neuer. E' stato l'unico vero pallone giocabile, esattamente al 43", su tiro da fermo capitalizzato dall'ivoriano: un giocatore immenso. Si va ai supplementari. Ma evidentemente la finale non porta bene a Drogba, che sgambetta in area Ribery: è rigore.

    L'errore dell'olandese è un monito alla Merkel, dimostra che il rigore tedesco non è la medicina per l'Europa. Il penalty calciato centralmente da Robben viene parato in due tempi da Cech. Qualsiasi squadra normale sarebbe crollata psicologicamente per frustrazione, la tempra teutonica è infinita perciò le occasioni fioccano. In un cross di Lahm da destra, Olic anziché tirare cerca un appoggio verso il centro, la palla finisce fuori di niente.
    Per la decima volta nella storia si va ai rigori sotto la curva bavarese. Lahm va a segno, Mata sbaglia. Gomez è implacabile, David Luiz segna. Il porteire Neuer trova l'angolo vincente contro il collega Cech, Lampard di potenza, Cech ipnotizza Olic, Cole segna, Schweinsteiger colpisce il palo e Drogba trova il gol. Dopo l'errore di Terry, il Chelsea viene risarcito. Roberto Di Matteo conquista la coppa, coronando le strepitose nove settimane e mezzo della sua gestione.


     
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